NELLA TUA MENTE

Ci vuole tempo e determinazione per plasmare un maschio secondo i propri dettami. Bisogna trovare la preda giusta e renderlo sempre più succube.

Poi è fondamentale spingerlo verso la perfezione, quella di uno schiavo ovviamente.

Riesco a capire abbastanza in fretta l’esserino giusto da plasmare a mio piacimento. Mi ricordo di G. che sembrava proprio pronto per il training.

Lo incontrai quasi per caso sulla metropolitana.

Notava che fissava le mie lunghe gambe mentre io sorridevo.

Scese alla fermata di Loreto e lo seguì curiosa di vedere fino a che punto sarebbe arrivato.

Lo raggiunsi e lasciandolo di stucco gli rivolsi la parola.

“Ho notato che fissavi le mie gambe”, gli dissi mentre lui arrossiva come un peperone.

“No, no… mi scusi…”, balbettò imbambolato.

Mi misi a ridere e lo invitai a bersi un caffè.

“Ovviamente paghi tu”, gli dissi ironica.

“Certo Signorina”, mi rispose lui con un filo di voce.

Mi piaceva vederlo così inoffensivo mentre eravamo seduti ad un tavolo di un bar a sorseggiare un caffè.
Accavallavo le gambe per ipnotizzarlo ancora di più. Appena facevo finta di accorgermi che le fissava, lo guardavo dritto negli occhi e lui abbassava subito lo sguardo.

“Secondo me tu hai bisogno di essere educato”, gli dissi maliziosa.

“In che senso Signorina?”, mi chiese con quella voce sempre ansimante.

“Non va bene continuare a fissare le cosce di una donna”.

“Ha ragione e mi scusi”.

“Non è sufficiente…”.

“Che cosa posso fare Signorina?”, chiese sempre più goffo.

“Devi farti educare tesoro mio… da bravo bambino”.

Il mio viso si era fatto contiguo al suo e le mie parole gli suonavano sensuale e calde nelle orecchie.

Era come se non riuscisse a resistermi e si morsicava delicatamente le labbra che erano ormai seccate.

Passarono alcuni momenti di silenzio mentre io dondolavo il mio sandalo con la punta del piede.

Si tratta di una pratica che eccita molti uomini. Si chiama dandling e sicuramente G. fu irretito da ciò.

“Si forse ha ragione”, mi disse affannoso e con gli occhi abbassati dalla vergogna.

Gli feci raccontare la sua vita, nulla di trascendentale. Era proprio il classico signor nessuno: lavoro in banca, single incallito timido con le donne, monolocale sciatto e nulla di particolare.

Non m’interessava certo sapere questi dettagli così noioso, ma osservavo con attenzione le sue parole, il suo gesticolare, il suo modo di porsi ed anche gli abiti che indossava.

C’era molto da lavorare con quel docile ragazzo che subito si era sottomesso alla mia volontà.

Volli subito chiarire quali erano le regole del nostro rapporto.

“Generalmente mi chiamano Signora”, gli dissi con la mia voce dolce e sensuale.

“Come desidera Signora”, mi rispose mettendosi subito sugli attenti.

Apprezzai il suo impegno e lo premiai con un sorriso.

“Bravo, così mi piaci”.

Rimanemmo in silenzio per alcuni attimi e poi continuai.

“Ti lascio il mio cellulare. Se vuoi farti educare e diventare un bravo ragazzo, chiamami entro una settimana”.

Mi alzai senza neanche salutarlo e uscì dal bar.

Era convinta che mi avrebbe chiamato ma non così presto.

Mi telefonò quella sera stessa e gli fissai un appuntamento dopo due settimana.

Saranno sicuramente sembrate lunghe a lui ma volevo tenerlo sulla corda.

Se si vuole educare un maschio bisogna seguire dei passaggi ben precisi.

Va, innanzi tutto, chiarito subito chi comanda e come lui deve porsi di fronte alla Donna sognata e desiderata.

Questo fu il tema della prima lezione.

Lo feci entrare in casa mia convinta della sua totale inoffensività.

“Buongiorno”, mi disse proprio sull’uscio.

Gli mollai un ceffone.

“Perché”, mi chiese sconvolto.

“Come si saluta una Signora?”, chiesi a lui come fosse al primo giorno di scuola.

“Buongiorno Signora”, mi disse con fare certamente meno baldanzoso e con gli occhi abbassati dalla vergogna.

“Bravo, così devi essere”, replicai con un tono più dolce.

Premi e punizioni, soprattutto le secondo, sono le medicine per far crescere un bravo servo.

Vanno usate al momento giusto e nelle condizioni più opportuno.

Lo invitai nella mia sala. Io me ne stavo comoda su una poltrona mentre per lui c’era un sacco pouf dove inevitabilmente cadeva ad ogni piè sospinto. Io sorridevo di fronte alla sua goffaggine e soprattutto godevo nel vederlo dall’alto.

Era molto scomoda la posizione che aveva preso ma si doveva abituare alla durezza di stare al mio servizio.

“Ti sei masturbato dopo che ci siamo conosciuti?”, gli chiesi secca con un sorriso pieno d’ironia.

Come il solito abbassò gli occhi ed arrossì. Non era abituato a questo domande, soprattutto se fatte da una donna.
”Sì Signora”, mi rispose con un filo di voce.

“Gradirei che tu mi chiedessi il permesso ogni volta che ti vuoi masturbare”, gli dissi con un tono indispettito.

“Sì Signora”, mi rispose mentre si faceva sempre più docile.

“Bravo. Mandami un messaggio e io quando ho tempo ti risponderò”.

Il controllo della sessualità è l’ulteriore passaggio per trasformare un maschio in un cagnolino.

Dopo iniziai con le sue abitudini più forti, per primo il modo di vestirsi.

Il suo abbigliamento era veramente misero con quel maglione verde e quei calzoni marrone.

Non mi aggradava perciò misi subito le cose in chiaro.

“Non mi piace come ti vesti. Per questo motivo ti mando via. Se vuoi incontrarmi ancora la prossima volto voglio un vestito più formale”.

Se ne andò e gli ricordai il suo compitino: ogni volta che desiderava di masturbarsi doveva chiedere il permesso.

E lo fece la sera stessa.

Non risposi subito. Aspettai un giorno.

“No, non puoi farlo”.

“Va bene Signora”, mi rispose docile e mansueto.

Mi scriveva tutti i giorni e io gli rispondevo quando potevo. L’avevo abituato a masturbarsi una volta la settimana e dopo tre settimana lo invitai alla seconda lezione.

Ero curiosa di vedere come si sarebbe presentato.

Indossava un completo blu con giacca e cravatta. Non è che fosse quello che desiderava ma per il momento poteva andare bene.

“Bravo, ti sei presentato decentemente questa volta”.

“Grazie Signora”, mi rispose più mansueto del precedente incontro.

Si stava gradualmente sottomettendo e questo mi faceva molto piacere.

“Ora starai in piedi”, gli dissi mentre io me ne stavo come il solito seduta comodamente in poltrona.

Lo guardavo in tutto il suo imbarazzo. Se ne stava fisso con le mani dietro che si muovevano.

“Non voglio che le mani si muovano. Stai sull’attenti”.

Si mise di nuovo in quella posizione e così rimase per circa venti minuti.

“Occhi bassi adesso”, gli dissi ad un certo punto.

Era veramente piacevole vederlo in quelle condizioni. Doveva essere anche scomodo ma si doveva abituare ad essere soggiogato a me.

“Da domani ogni giorno mi manda un messaggio in cui scrivi cosa hai fatto”.

“Si Signora”, rispose sempre più docile.

E così fece. Ogni giorno mi scriveva la sua giornata. Non era niente di particolare ma inizia a mettere alcuni cambiamenti.

La mattina doveva alzarsi alle sei e mandarmi i saluti. Appena arrivato al lavoro doveva mandarmi un messaggio per comunicarmelo. Quando andava in bagno doveva mandarmi un messaggio. A pranzo poteva mangiare solo verdura e doveva mandarmi le foto dei piatti per provarmelo. Poi la sera finito il lavoro doveva comunicarmelo.
Prima di andare a letto doveva scrivere cento volte “Devo essere mansueto con la Signora” ed ovviamente inviarmi il file.

Possono sembrare delle richieste stupide ma in realtà io entravo sempre di più nella sua vita quotidiana anche a distanza.

Ogni momento era segnato dalla mia presenza e dalla mia assenza nello stesso tempo.

Lo feci andare avanti per un mese in quelle condizioni finché pensai che era pronto.

“Buongiorno Signora”, mi salutò ancora più mansueto.

“Bravo”, gli risposi con un tono di voce caldo e sensuale.

Se ne stava davanti a me sull’attenti e con gli occhi bassi.

Io decisi di fargli il regalo che molti servi sognano.

“Ora puoi baciarmi i piedi”.

Sorrise e si inginocchiò davanti a me.

Gli concessi solo un bacio per ogni piede. Era già tanto onore per lui.

“Posso masturbarmi Signora?”, mi chiese con gli occhi imploranti.

“No”.

Non si toccò neanche perché ormai sapeva di dipendere da me.

“Vuoi rimanere casto per me?”, gli sussurrai nell’orecchio.

“Sì Signora”, mi rispose deciso.

Presi la cintura di castità che avevo comprato per lui e gliele feci indossare.

Accettò senza resistenza quasi inebetito di fronte a me.

Ora la sua mascolinità era nella mie mani e solo io potevo decidere se e quando avrebbe avuto piacere.

Gli insegnai che doveva soffrire per me. Lo feci svestire e sdraiare per terra con la schiena nuda sul pavimento.

Mi misi su di lui a cavalcioni ed incominciai a giocare con la mia vagina sul suo pene in gabbia. Le mutandine che la coprivano strusciavano sulla gabbietta e lui incominciava a sentire piacere e dolore. Il suo membro si rizzava ma inevitabilmente si scontrava con la costrizione a cui era obbligato.

“Ti piace servetto?”, gli chiese con voce calda e sensuale.

“Sì Signora, ma mi fa anche male”, mi rispose ansimando.

“Devi abituarti al dolore”, replicai con evidente sadismo.

Andai avanti a dondolarmi per quasi mezz’ora mentre le mie unghie graffiavano il suo petto e le mie dita giocavano con i suoi capezzoli.

Ansimava e gemeva mentre io mi ero messa anche a giocare con le mani sulla sua gabbietta. Il suo membro s’ingrossava ma inevitabilmente si ritraeva. Il dolore maggiore era quando sentiva la pelle delle mie mani che si poggiava quasi impercettibilmente su di esso attraverso i buchi che lo lasciavano respirare.

Volevo che raggiungesse la perfezione perché per me esigo sempre il meglio.

Da quel momento ogni singolo aspetto della sua vita divenne regolato da me. Non aveva alcuna autonomia salvo quella di utilizzare ogni singolo neurone per pensare cosa fosse meglio per me e come poteva servirmi.

Divenne lo schiavo quasi perfetto, eunuco e desideroso di compiacermi in continuazione.

Non aveva più una sua personalità ma era ormai solo un ombra che mi seguiva a mio comando.